Maurizio Bettiga
Una laurea ed un dottorato di ricerca in biotecnologie industriali presso l’Università di Milano - Bicocca e una carriera accademica perseguita presso la Chalmers University of Technology di Göteborg, Svezia. Oggi è Chief Innovation Officer presso la Italbiotec Srl, fondatore dell’azienda di consulenza EviKrets Biobased Processes Consultants e professore a contratto presso l’Università degli Studi di Milano.
Maurizio Bettiga tra innovazione e sostenibilità
16 Febbraio 2022
Abbiamo intervistato Maurizio Bettiga, che ha ottenuto una laurea ed un dottorato di ricerca in biotecnologie industriali presso l’Università di Milano - Bicocca e ha perseguito la propria carriera accademica presso la Chalmers University of Technology di Göteborg, Svezia. Oggi è Chief Innovation Officer presso la Italbiotec Srl, fondatore dell’azienda di consulenza EviKrets Biobased Processes Consultants e professore a contratto presso l’Università degli Studi di Milano.
Come definirebbe il suo lavoro e quando ha capito quale sarebbe stata la sua strada?
È una domanda a cui è difficile rispondere perché attualmente faccio tre o quattro lavori diversi. Quello che posso dire è che ho alle spalle un lungo percorso accademico a cui poi è seguito un processo di maturazione che mi ha portato oggi a fare esattamente ciò che mi piace fare: mettere al servizio della società i frutti di questi studi. Sono arrivato a questo punto della mia carriera grazie alla mia solida preparazione accademica ma ritengo fondamentale oggi occuparmi dell’applicazione dei risultati della ricerca scientifica.
Potremmo dire quindi che, soprattutto nel campo della sostenibilità, la ricerca è efficace quando i suoi frutti entrano a far parte della quotidianità delle persone, le quali però spesso non sono consapevoli dello studio che c’è alle spalle di ciò di cui fruiscono. Ritiene che la divulgazione scientifica sia uno strumento fondamentale per arrivare ad una sostenibilità più consapevole?
L’aspetto divulgativo è importantissimo per la transizione verso i prodotti sostenibili e per il loro radicamento nelle abitudini quotidiane. È importante attraverso una corretta comunicazione e a molta educazione non far vivere alcune scelte come sacrifici ma come opportunità. Usare le cannucce di carta non piace a nessuno, scegliere i pannolini lavabili al posto di quelli usa e getta comporta fatica, tutti cerchiamo i due centesimi di sconto sul carburante… Eppure negli ultimi anni è successo qualcosa. Non so se sia merito di Greta Thunberg che forse ha dato voce a un sentimento latente, ma da qualche anno pare che molte persone siano disposte a perseguire il beneficio ecologico anche a costo di rimetterci qualcosa di tasca propria e questo non può che derivare da una efficace divulgazione che ha raggiunto tante persone a più livelli.
Ma come si riesce a coniugare profitto e responsabilità? Lei collabora con la Fondazione Giannino Bassetti per la promozione dell’approccio RRI- Responsible Research and Innovation. Crede che l'impatto sociale delle innovazioni sia prevedibile e governabile?
La responsabilità è fondamentale. Basti pensare alla storia di Robert Oppenheimer, padre della bomba atomica che poi fece un forte atto di critica contro l'impiego bellico dell’energia nucleare. La ricerca non può prescindere dalla disamina critica. Da tre o quattro anni il cambiamento è visibile anche dal contenuto dei bandi di ricerca e dalla crescita del concetto stesso di sostenibilità. L’innovazione oggi è un business se soddisfa i tre criteri fondamentali di sostenibilità: sociale, ambientale ed economico. Essere responsabili significa prevedere gli impatti futuri in queste tre direzioni e fare scelte che tengano sempre conto di questi tre aspetti.
Ha lavorato in Svezia, Italia e Brasile e si occupa di progetti umanitari in Africa e Sud America. Crede che l'innovazione e la sostenibilità per essere veramente efficaci debbano avere una visione di sviluppo globale?
Rispondo dicendo che “l’ottimo è nemico del buono”. È sempre auspicabile un atteggiamento globale ma ognuno deve fare la sua parte. Se un singolo paese fa una scelta sostenibile è comunque un inizio. Questo però si ribalta se pensiamo alle grandi aziende che hanno un impatto globale e che magari fanno progetti di green washing in Europa e poi nel resto del mondo agiscono senza responsabilità. “With great power comes great responsibility” diceva lo zio Ben a Peter Parker.
La bioeconomia oggi è fiorente in Europa sia grazie a iniziative locali che grazie a organizzazioni europee come The Vanguard Initiative, un'alleanza di 39 regioni europee nata per stimolare l'innovazione industriale. Con queste premesse, quale crede sarà il futuro dell'economia Biobased?
Sicuramente sarà in crescita costante, soprattutto per i materiali più che per carburanti e le fonti di energia. La rivoluzione in questi settore oggi va in altre direzioni: basti pensare alle auto elettriche che stanno prendendo piede. I biocarburanti resteranno fondamentali soprattutto per l’aviazione e la navigazione. I materiali da costruzione invece sono in pieno sviluppo perché è sempre più importante trovare sostituti della plastica. Pensiamo solo alla rinascita del rayon viscosa nel mondo della moda, dopo anni in cui era stata messa da parte. Negli anni 40 invece era considerato un tessuto molto elegante: suggerisco per approfondire di guardare “Sette canne, un vestito” un bellissimo cortometraggio del 1949 diretto da Michelangelo Antonioni che racconta la trasformazione delle canne di palude in viscosa e termina con una meravigliosa sfilata di alta moda. Oggi l’uso di biomassa vegetale per la fabbricazione della cellulosa e quindi della viscosa sta riprendendo piede, soprattutto in Nord Europa, perché è un tessuto molto sostenibile.
Un’ultima curiosità: ha un ricordo particolare che la lega alla sua esperienza in Bicocca?
Gira e rigira la vita mi riporta sempre qui. Quando studiavo ero in Bicocca ogni giorno ma anche dopo mi capitava spessissimo di tornare per appuntamenti di lavoro o coincidenze varie. Anche oggi Italbiotec Srl, la società per cui lavoro, ha sede in piazza della Trivulziana. Pensando agli anni dell’università ho poi un aneddoto davvero divertente legato proprio a quella piazza: era il 1997 e c’erano le elezioni dei rappresentanti d’istituto. Allora lì c’era solo un’enorme buca con i resti della fabbrica Pirelli intorno alla quale c’erano delle lamiere. Una notte fummo sorpresi mentre affiggevamo i manifesti da una guardia notturna accompagnata da un minaccioso cane lupo. Tra il terrore dei miei compagni, io con calma serafica gli dissi “Sono davvero sorpreso che non abbiano comunicato anche a lei che queste lamiere sono state messe a disposizioni degli studenti per le comunicazioni politiche”. Così se ne andò convinto che stessimo facendo qualcosa di assolutamente legale di cui non era stato messo a conoscenza!